Gene therapy in vivo: verso cure più accessibili per gravi malattie genetiche del sangue
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Un nuovo studio pubblicato su Nature dai ricercatori e dalle ricercatrici del San Raffaele-Telethon Institute for Gene Therapy (SR-Tiget) apre la strada a una strategia innovativa di terapia genica in vivo. Sfruttando una finestra post-natale precoce, i ricercatori sono riusciti a trasferire in modo efficace e stabile geni correttivi direttamente nelle cellule staminali del sangue, senza la necessità di chemioterapia o manipolazione ex vivo. I risultati, validati in tre modelli murini di gravi malattie genetiche, gettano le basi per futuri sviluppi clinici nei pazienti pediatrici.
Un gruppo di ricercatori e ricercatrici dell’Istituto San Raffaele – Telethon per la Terapia Genica (SR-Tiget) coordinato da Luigi Naldini, Direttore dell’Istituto SR-Tiget e Professore Ordinario di Istologia presso l’Università Vita-Salute San Raffaele, e Alessio Cantore, group leader dell’Unità di Terapia Genica del Fegato presso SR-Tiget, ha pubblicato sulla rivista Nature uno studio che rappresenta un significativo passo avanti nel campo della terapia genica. Lo studio ha identificato una finestra temporale unica nel periodo post-natale precoce che consente di effettuare un efficiente trasferimento genico in vivo nelle cellule staminali ematopoietiche (HSC). Questo approccio innovativo potrebbe facilitare l’accesso a trattamenti genetici salvavita, rendendoli più sicuri e disponibili.
Le attuali terapie geniche si basano spesso su tecniche ex vivo, che prevedono l’estrazione delle cellule staminali ematopoietiche dal paziente, la loro modifica genetica in laboratorio e la successiva reinfusione nel paziente dopo un trattamento di chemioterapia. Essendo le staminali ematopoietiche le cellule "madri" da cui derivano tutte le cellule del sangue, intervenire su queste cellule permette di correggere alla radice alcune malattie genetiche che colpiscono il sistema ematopoietico e immunitario. Sebbene efficaci, queste procedure sono complesse, invasive e costose. Al contrario, la nuova strategia proposta dai ricercatori consente di somministrare la terapia direttamente in vivo, cioè all’interno dell’organismo, tramite una semplice infusione endovenosa, riducendo la necessità di manipolazione cellulare e trattamenti pre-condizionanti.
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Lo studio
La terapia genica consiste nell’introdurre una copia corretta di un gene difettoso all’interno delle cellule del paziente. Per farlo, i ricercatori utilizzano spesso dei “vettori”: strumenti molecolari in grado di trasportare il materiale genetico nelle cellule bersaglio. In questo studio, il vettore impiegato è un vettore lentivirale, ovvero derivato da un virus modificato in laboratorio per essere sicuro, incapace di replicarsi e con la sola funzione di veicolo del gene terapeutico.
Lo studio, condotto su topi neonati, ha dimostrato che la somministrazione di vettori lentivirali durante i primi giorni di vita permette un trasferimento genico stabile e duraturo nelle cellule staminali del sangue. Questo risultato è reso possibile da una particolare fase dello sviluppo in cui le cellule staminali primitive circolano ancora nel sangue, migrando dagli organi ematopoietici fetali verso il midollo osseo, dove si insedieranno stabilmente e inizieranno a produrre tutte le cellule del sangue per il resto della vita.
La novità principale del modello proposto risiede nell’identificazione e nello sfruttamento di una finestra post-natale unica, durante la quale è possibile ottenere un trasferimento genico efficiente, sufficiente a correggere o migliorare il fenotipo in tre diversi modelli murini di malattia. Ancora più interessante è il fatto che questa finestra terapeutica può essere estesa attraverso l’uso di agenti mobilizzanti già approvati per uso clinico, che aumentano il numero di staminali ematopoietiche nel circolo sanguigno.
I ricercatori hanno validato l’approccio dimostrandone il beneficio terapeutico in modelli murini di tre gravi malattie genetiche: l’Anemia di Fanconi (una sindrome da insufficienza midollare), l’immunodeficienza severa combinata da deficit di adenosina deaminasi (ADA-SCID) e l’osteopetrosi autosomica recessiva (ARO). I risultati ottenuti forniscono la prova di principio che la terapia genica in vivo può correggere o migliorare significativamente il fenotipo di queste patologie.
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Dichiara Michela Milani, prima autrice dello studio e alumna UniSR:
“Questo studio rappresenta un importante punto di svolta nel campo della terapia genica. Esso getta le basi per un cambio di prospettiva dove la terapia genica ha il potenziale di curare una malattia genetica nelle sue fasi primordiali, spesso prima che i danni causati all’organismo diventino irreversibili, e al momento stesso della diagnosi, senza la necessità di dover aspettare per poter ricevere un trattamento. Inoltre, la semplificazione della procedura da ex vivo a in vivo può ampliare l’accessibilità di queste terapie complesse anche in aree geografiche dove centri specializzati che possano effettuare un trapianto non sono disponibili, potenzialmente anche abbattendo i costi.”
Oltre a documentare un trasferimento genico stabile e multi-lineare, lo studio ha fatto luce sui meccanismi biologici che rendono l’inizio della vita particolarmente favorevole a questo tipo di intervento. Fattori intrinseci alle cellule, insieme alla dinamica unica dell’ematopoiesi nei neonati, hanno contribuito a raggiungere livelli di efficienza sufficienti a trattare tre modelli murini di malattie genetiche gravi in modo efficace, senza l’uso di protocolli di selezione o chemioterapia.
Questo lavoro getta le basi per studi preclinici futuri e si inserisce nel contesto della crescente diffusione dello screening neonatale per le malattie genetiche. Nel panorama in evoluzione della terapia genica, i risultati di questo studio rappresentano un passo fondamentale verso l’applicazione clinica della terapia genica in vivo nei pazienti pediatrici.
“È importante sottolineare che abbiamo identificato cellule staminali e progenitrici ematopoietiche circolanti anche nel sangue di neonati umani per i primi mesi di vita post-natale, con livelli che diminuiscono con l’età, in modo simile a quanto osservato nei topi. Questi risultati supportano futuri studi volti a valutare il potenziale traslazionale del trasferimento genico in vivo delle cellule staminali del sangue nei pazienti pediatrici”, conclude il professor Naldini.
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